Giuseppe Lanzi

Giuseppe Lanzi

LIMES LIMITIS: Vecchie e nuove frontiere

Non è semplice parlare di “frontiere” nel nostro mondo caratterizzato dal fenomeno denominato “Globalizzazione”. Frontiera è una di quelle parole che siamo abituati ad utilizzare, senza renderci conto che il suo significato, anche semantico, è in continua evoluzione.

Chi proviene dalla cultura europea ed ha quasi quarant’anni, ha assistito alla grande trasformazione avuta da questo termine nella nostra vita quotidiana: mentre solo i nostri nonni vedevano come frontiere i margini estremi del loro villaggio, a volte della loro provincia, raramente della loro regione, tutti noi abbiamo considerato le alpi a nord ed il mare negli altri punti cardinali quali la fine del “nostro spazio”; andare a Vienna piuttosto che a Parigi era un viaggio, richiedeva il passaporto e controlli doganali. Nella mia esperienza di emigrato prima in Francia poi in Germania, ho vissuto la difficoltà dell’ottenimento di un permesso di soggiorno, la conversione della patente di guida, i controlli di polizia… tutto questo oggi ci appare lontano e andare a Londra piuttosto che a Barcellona non ci spaventa più; anzi, ci appare assolutamente normale.

Diversa l’esperienza africana dove possiamo dire che l’inserimento dello stesso concetto di frontiera territoriale inizia con lo sfruttamento da parte delle potenze coloniali. E’ quindi un concetto estraneo alla cultura locale ed in qualche modo viene imposto; basta guardare una cartina geografica africana e rendersi conto come i confini tra gli stati africani siano semplicemente stati studiati a tavolino senza tenere nel minimo conto le esigenze delle popolazioni che questi luoghi abitavano.

Hanno ancora senso le frontiere, queste frontiere oggi? Diamo quindi una occhiata a questo fenomeno generalmente definito Globalizzazione:

Nel 2003 la Globalizzazione ha compiuto 20 anni: vent’anni fa non avevamo internet, non avevamo i cellulari, la CNN non sapevamo se esisteva e non era pensabile che i ragazzini di Genova come quelli di New York o Cape Town aspirassero a vestire Nike e bere Coca Cola. I voli aerei erano considerati dei lussi eccezionali ed il computer era ingombrante e non certo “personal”…

Fu Theodore Lewitt, docente della Harward Business School ad annunciare nel 1983 che “ la globalizzazione è a portata di mano”  facendo evolvere ulteriormente il concetto di “villaggio globale” teorizzato 15 anni prima da Mc Luhan.  Che trasformazioni ha portato questo fenomeno prettamente economico? Si partiva da mercati nazionali protetti e chiusi ai prodotti stranieri. Proprio gli Stati Uniti modificarono la propria politica economica aprendo delle vere e proprie battaglie in seno al WTO, ed arrivarono alla creazione del NAFTA – l’area nord americana di libero scambio – mentre l’Europa costruiva il suo Mercato Unico. La caduta del muro di Berlino e quindi dell’unico sistema che si poneva come alternativo a quello capitalistico, unito ad un impressionante sviluppo tecnologico hanno di fatto cancellato le distanze tra tutti i diversi punti del pianeta, e ci stanno portando verso il riconoscimento del binomio GLOBALIZZAZIONE = AMERICANIZZAZIONE. Le multinazionali, non solo americane, hanno oggi la possibilità di intaccare le identità nazionalculturali imponendo nuovi bisogni, nuovi modelli culturali, nuovi leader politici più… disponibili. Abbiamo già assistito a come questi nuovi centri di potere economici, slegati dal potere politico, siano riusciti a modificare delle legislazioni nazionali in virtù del dogma del libero mercato e del capitalismo. Ma quali sono le conseguenze per la gente comune? Per la vita di tutti i giorni? Proviamo ad analizzare le conseguenze di tutta questa trasformazione planetaria sul tema che a noi interessa: le frontiere!

Da una parte abbiamo l’esempio Europeo che – sebbene partito dall’idea di un mercato europeo – è arrivato all’annullamento delle frontiere interne; dall’altro, dall’altra parte dell’oceano, interessante è il “Parque dell’amistad” che divide Messico (Baja California) dagli USA (California). Lungo tutta la frontiera che divide gli USA dal Messico abbiamo due realtà in forte contrasto tra di loro: le “Maquilladoras” che sono le ditte di assemblaggio di prodotti statunitensi per il mercato statunitense, e la “barda”: il lungo muro metallico realizzato con le lastre utilizzate come pista di atterraggio per i bombardieri americani durante la prima guerra del golfo… e tutto questo nonostante che il Trattato di Guadalupe Hidalgo garantisca il libero passo ai messicani negli stati ex messicani.

Qui siamo al primo grande paradosso delle attuali Frontiere: come è possibile pensare a delle barriere a maglia larga per le merci e in grado di causare la morte delle persone? Come è possibile auspicare, invocare la globalizzazione per i grandi capitali e al contempo impedire il movimento delle persone? Ma anche dal punto di vista economico, come è possibile cercare di chiudere le frontiere agli stranieri in quanto migranti, rispondere alle esigenze delle industrie globalizzate che chiedono manodopera ed auspicare la mobilità umana nelle sue forme economiche come il turismo? Sembra davvero il cane che tenta di mordersi la coda…

Capitali immensi vengono impiegati nella costruzione di sempre nuovi muri e sempre più tecnologicizzate barriere: siamo sicuri che il miliardo di dollari impiegato per la costruzione e la gestione del muro di Tijuana non avrebbe potuto essere impiegato meglio magari proprio a risollevare il Messico dalla sua crisi economica e quindi diminuendo notevolmente le aspirazioni ad emigrare?

Scrive Rampini su la Repubblica: “Il terzo millennio si è aperto su un interrogativo: è iniziata la lunga notte della globalizzazione? A vent’anni dal battesimo di quel termine, le resistenze all’omogeneizzazione dei consumi e dei mercati sono in ascesa. Dopo l’offensiva terroristica, è la volta della SARS che può minacciare l’apertura delle frontiere. Di certo l’allarme SARS dimostra che la globalizzazione non è un fenomeno a senso unico: se noi abbiamo bisogno della Cina, i cinesi hanno avuto un formidabile sviluppo socio-economico grazie all’apertura dei mercati mondiali. Se la globalizzazione si ferma, il loro sogno di sviluppo sarà la prima vittima. Purtroppo non è impossibile. La storia non procede in una sola direzione. Già all’inizio del novecento il mondo conobbe una prima forma di globalizzazione economica senza una adeguata governance politica: fu travolta da protezionismi, razzismi e ideologie totalitarie, dalla Grande Depressione e due guerre mondiali. Quando l’economia corre troppo in avanti e la politica non regge il passo, si creano le condizioni per contraccolpi brutali”

Quali dunque le frontiere per il nuovo millennio? E quali regole? Solo quelle economiche? Solo rispettando il dio mercato? E quale valore ha il rispetto dei diritti umani?

Le frontiere hanno ancora senso? Non è forse diritto di ciascun popolo e ciascuna nazione difendersi? Può una nazione o un popolo decidere di non avere bisogno degli altri? Risposte definitive non credo ne abbia nessuno ma è necessario iniziare a riflettere su queste barriere, rileggendo la loro funzione ed adattarle alle nuove esigenze che sono quelle del villaggio globale; potremmo anche arrivare a scoprire che sono qualcosa di anacronistico e superato. Oppure potremmo scoprire un nuovo modo di intenderle e gestirle. Certamente non sono i muri che possono essere considerati dei grandi progressi.

Frontiera equivale sempre di più a muro, una fisica divisione tra noi e gli altri; alcuni muri cadono travolti dalla Storia: quello di Berlino nel 1989 non è stato l’ultimo muro europeo a cadere! Il primo maggio 2004 a Gorizia cadeva la barriera che divideva l’Italia dalla Slovenia e Piazza Transalpina è ora meta di turisti come il Check Point Charlie.

Altri muri però nascono o si rafforzano: un nuovo muro si è alzato nella terra sacra alle tre religioni monoteiste l’intera Terra Santa è sfregiata da questo nuovo muro che separa israeliani dai palestinesi. Si resta esterrefatti davanti a questo muro di otto metri che sembra una nuova Muraglia Cinese. Chi ha torto? Chi ha ragione? A chi può essere utile?

Come a Lampedusa in Italia, anche a Ressano Garcia, in Mozambico, giungono migliaia di africani che tentano di raggiungere il nuovo Eldorado: migliaia di persone che rischiano la vita per raggiungere le miniere di Diamanti o semplicemente un qualunque lavoro in Sud Africa che è la più prospera economia del continente… tutti i giovedì un treno speciale ne riporta diverse migliaia indietro, pronti a ricominciare questo tragico girotondo. Quanti rimarranno incastrati nell’ingranaggio? E chi si accorgerà di loro?